martedì, ottobre 14

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...di certe cose, più se ne parla, meglio è.

"I Casalesi prima di Natale
uccideranno Saviano e la scorta"

di ANGELO CAROTENUTO e CONCHITA SANNINO


NAPOLI - Hanno stabilito una data, come stessero scrivendo il loro "romanzo" nero dei conti da regolare. Stavolta i padrini che dirigono il gruppo stragista del clan dei casalesi avrebbero deciso persino un termine per distruggere la vita di Roberto Saviano. Ed è la prima volta che affiora una dead line. "Entro dicembre morirà", racconta un ex criminale ormai diventato collaboratore di giustizia da oltre un decennio.
I casalesi stavolta tirano in ballo anche la sua scorta, i sette carabinieri che sono il suo scudo e i suoi amici, la sua ombra e la sua compagnia.

"Succederà entro la fine di dicembre. Quel libro ha fatto troppo clamore", aggiunge il superpentito dei casalesi. Si tratta di un personaggio che da tempo, come ovvio, risulta estraneo agli affari criminali, e tuttavia è radicato in quei luoghi d'origine e considerato troppo attendibile per non far sospettare che abbia colto voci convergenti dalla sua Casal di Principe, nel cuore della provincia di Caserta, devastata dal disegno stragista di questi mesi, con 15 morti innocenti in poco più di cinque mesi.
Il clan del terrore alza dunque il tiro sullo scrittore-simbolo di Gomorra. Ma lui, sorriso sghembo di sempre, finge normalità. "Che dovrei fare? Continua tutto come prima. Non ho mica altra strada che resistere, resistere, resistere". Poco dopo, a chi lo strattona, risponde ironico: "Una cosa mi hanno insegnato questi due anni passati in solitudine: cucino, elaboro ricette; ehi, sto diventando un cuoco".

Fuori dal suo itinerante covo protetto, l'ultima minaccia contro Roberto Saviano è ritenuta "attendibile". Sono in corso ulteriori accertamenti, è stata registrata nelle ultime ore agli atti della Direzione distrettuale antimafia della Procura di Napoli. È un foglio datato 1 ottobre 2008. Venti righe. E si riferisce a un incontro avvenuto tre giorni prima.
Quelle venti righe che continuano a sbarrare la fiducia in una vita normale, per il giovane autore diventato emblema della lotta alle mafie, alle collusioni e all'omertà dei territori che piegano la testa. In gergo giudiziario si chiama "annotazione".

Quattro righe, a metà foglio, riportano fedelmente la confidenza che il superpentito della cosca mafiosa dei casalesi ha affidato, a fine settembre, ad un funzionario dello Stato, che ha poi riferito tutto alla polizia. Un incontro non casuale, ma dettato probabilmente da motivi di vecchia consuetudine. Forse i due si sono fermati a parlare intorno a un caffè; forse a cena. Durante quel colloquio, il pentito dei casalesi, uno dei primi a collaborare con lo Stato, già imparentato con le famiglie più in vista del gotha criminale, spiega di aver saputo che a ridosso di Natale scatterà la tragica vendetta contro lo scrittore. Perché? "Troppo caos ha provocato quel libro, un fenomeno", spiegherà a voce la persona che assume le informazioni dal pentito.

Nella trascrizione l'alto esponente della polizia, da Milano, scrive: "Quest'ultimo (il pentito dei casalesi, ndr) avrebbe riferito (al funzionario) che entro fine dicembre il famoso scrittore del libro Gomorra, Saviano Roberto, sarebbe stato ucciso insieme alla sua scorta, in quanto con il suo libro aveva fatto troppo clamore". La segnalazione investe subito i vertici della polizia e del Comando generale dell'Arma. Si restringono ulteriormente le maglie della protezione: cautela massima, non c'è spazio per minimi cedimenti all'impenetrabile rete dei controlli e delle bonifiche previste a ogni spostamento di Saviano. C'è chi, dai massimi livelli delle forze dell'ordine, valuta anche la necessità di misure radicali: non ultima quella di prevedere un temporaneo trasferimento all'estero.
Franco Roberti, il procuratore aggiunto antimafia, non entra nel merito della vicenda ma ribadisce: "Sappiamo da tempo che lo scrittore Saviano è esposto, le misure di protezione intorno alla sua persona saranno le più adeguate". Ma nessuno può escludere, rispetto all'eco dettagliato di questa presunta sentenza di morte - "entro dicembre, con la scorta" - eventuali collegamenti con l'agghiacciante scenario di vendetta che emerge dopo i blitz messi a segno da polizia e carabinieri, in Terra di Lavoro, con il pool esperto di casalesi della Dda di Napoli.

Più circostanze giustificano la massima allerta degli inquirenti Quell'incontro tra il superpentito e il suo ospite risale al 27 settembre scorso. Cioè: nove giorni dopo i 7 morti innocenti (prima Antonio Celiento, ammazzato perché un confidente di polizia; poi i sei ghanesi massacrati nella sartoria); e tre giorni prima che lo Stato assestasse un colpo di maglio al gruppo stragista, con la cattura di tre dei suoi più fidati killer, Alessandro Cirillo, Giovanni Letizia e Oreste Spagnuolo, e il sequestro di uno spaventoso arsenale - 11 armi, tra cui un kalashnikov. Proprio Spagnuolo il 6 settembre decide di collaborare con lo Stato. Il 7 racconta un dettaglio che oggi, collegato alla minaccia indirizzata a Saviano, mette i brividi. Setola infatti, il superlatitante in fuga, il killer ritenuto ideatore (con placet del boss Bidognetti) della sequenza di omicidi e terrore contro imprenditori coraggiosi e parenti di pentiti, da alcune settimane "era a caccia di un detonatore con un telecomando". Lo racconta il neopentito Spagnuolo. "Setola mi ha parlato del fatto che cercava di procurarsi un detonatore con telecomando. Diceva che era un modo facile per uccidere", ha precisato.

Roberto Saviano oggi ripete: "Non cambia niente, l'importante è tenere la testa sollevata". È la stessa cosa che ripetè, il 17 settembre del 2007, in piazza a Casal di Principe, l'ultima sua apparizione in una piazza: "Ragazzi, non fatevi strappare il diritto alla felicità". Forse, lo stava dicendo anche a se stesso.


Fonte Repubblica.

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